Implantologia Dentale: come risolvere il problema dei denti mancanti

L’implantologia ci consente oggi di rimpiazzare i denti mancanti utilizzando gli impianti. Si possono perdere i denti per cause traumatiche o per carie distruttive (molto estese e profonde) o a causa della malattia che coinvolge l’osso e le gengive. Per sopperire alla mancanza di questi elementi dentari, si interviene con il posizionamento degli impianti.  Si tratta di viti in titanio che simulano nella forma e nella funzione le radici dei denti persi. Successivamente, il dentista costruirà la corona dei denti su queste nuove radici.

Cos’è un impianto dentale?

L’impianto dentale (chiamato spesso dai pazienti perno o vite) è un piccolo cilindro, cavo all’interno. Nella parte esterna sono presenti delle spire, che garantiscono una superficie ampia per la crescita dell’osso, mentre all’interno è presente un filetto, utilizzato per avvitare la parte protesica, che sostituirà la corona del dente.

Il materiale più diffuso nella produzione di impianti dentali è il titanio, un metallo biocompatibile e anallergico, che non crea infiammazione.

Recentemente si stanno valutando delle alternative come la zirconia o la ceramica, ma al momento questi materiali non hanno raggiunto le stesse caratteristiche meccaniche del titanio. Per la costruzione di impianti, il materiale più testato e con i migliori riscontri resta ancora il titanio.

Come può una vite di titanio sostituire un dente?

Nel 1953 in Svezia, il Dott. Branemark avvia una sperimentazione. Posiziona alcuni cilindri di titanio in contatto con cellule ossee e osserva che queste sono in grado di crescere sulla superficie dell’impianto, inglobando i cilindri.  Questo fenomeno si basa sul principio dell’OSTEOINTEGRAZIONE: alcuni materiali tra cui il titanio possono essere integrati nella struttura ossea determinando un intimo contatto fra osso e materiale.

L’osso ha la capacità di crescere sulla superficie di alcuni specifici materiali (titanio, zirconia, ecc.), inglobandoli all’interno della propria struttura. Questa caratteristica è alla base del funzionamento sia degli impianti dentali, sia delle protesi usate in ortopedia, per riabilitare le articolazioni del ginocchio e dell’anca.

Gli impianti dentali devono avere la capacità di osteointegrarsi e devono essere funzionalmente appropriati, cioè devono essere in grado di sostituire i denti durante la loro funzione, resistendo ai carichi della masticazione che arrivano a circa 90 kg per ogni centimetro quadrato. Per capire a quanto corrisponde questo valore basta immaginare che una persona adulta di 90 kg sia in piedi appoggiata su un dente.

In quasi settanta anni di ricerca, sono stati fatti molti passi in avanti per rendere più performante il processo di osteointegrazione, migliorando le caratteristiche degli impianti per quanto riguarda la forma e la superficie. Ormai l’implantologia è diventata una pratica di uso comune e soprattutto affidabile, per ridare il sorriso e la capacità di masticare anche a chi purtroppo l’aveva persa.

La diagnosi in implantologia

Tutti i pazienti che per varie cause hanno perso dei denti sono idealmente candidati alla terapia implantologica, ma è necessario fare una diagnosi accurata per rendere l’inserimento dell’impianto sicuro e affidabile nel tempo.

La diagnosi consiste in diversi passaggi:

  • Esame Obiettivo. Partendo dall’anamnesi del paziente, si esegue una visita per valutare la zona edentula (priva di denti), stabilirne le caratteristiche (salute dei denti adiacenti, quantità e qualità dei tessuti gengivali e ossei, tipologia di masticazione ecc.) e valutare i motivi della perdita del dente.
  • Esami radiografici. Alle informazioni raccolte con l’Esame Obiettivo è necessario aggiungere altre informazioni che riguardano la situazione ossea, per conoscerne con estrema precisione la quantità. Si eseguono a tale scopo le radiografie come ad esempio la panoramica (per vedere tutta la bocca, comprese le cavità nasali e le strutture nervose da preservare) o le radiografie periapicali (per vedere la zona dove mancano i denti). In alcuni casi si esegue in aggiunta anche la TAC per avere delle informazioni ancora più accurate sullo spessore di osso disponibile.
  • Esami di laboratorio. Alcune condizioni di salute rendono necessari ulteriori approfondimenti con esami di laboratorio, per valutare lo stato di salute generale del paziente.
  • Modelli di studio. Attraverso le impronte si costruisce una fedele copia in gesso della situazione attuale della bocca del paziente. In questo modo si è in grado di valutare meglio l’inserimento degli impianti, anche in base alla posizione dei denti vicini.

Ci sono controindicazioni alla terapia con impianti?

Sono le stesse controindicazioni che ci sono per gli interventi di chirurgia della bocca.

In presenza di malattie sistemiche (malattie autoimmuni, malattie oncologiche, terapie con bifosfonati, malattie cardiovascolari, diabete, ecc.) è necessaria un’attenta valutazione della situazione. Il danno generato direttamente da queste malattie o il tipo di farmaci utilizzati per curarle determinano delle controindicazioni al posizionamento degli impianti.

La diagnosi preliminare e soprattutto l’esame obiettivo serve proprio a questo: assicurarsi che l’implantologia possa essere fatta senza problemi e in sicurezza per il paziente.

Sono affetto da cariorecettività e/o malattia parodontale (piorrea) posso procedere comunque con gli impianti?

I batteri che causano la carie dei denti non sono in grado di cariare gli impianti.

La carie infatti non è altro che una zona del dente che viene sciolta dagli acidi prodotti dalla placca batterica. Il titanio degli impianti non subisce l’azione degli acidi prodotti dai batteri, quindi l’implantologia è una terapia assolutamente sicura e predicibile nei pazienti cariorecettivi. È però necessario essere molto attenti e scrupolosi nell’igiene domiciliare, evitando così fastidiose infiammazioni e arrossamenti gengivali.

La malattia parodontale interessa invece l’osso e le gengive. Gli impianti vengono posizionati nello stesso osso e nella stessa gengiva dove erano presenti i denti, pertanto è fondamentale mettere subito sotto controllo la malattia parodontale, per poi accedere alla terapia con impianti.

In questi casi risulta ancora più importante avere un ottimo controllo igienico, per evitare che la malattia parodontale possa ripartire, creando problemi ai tessuti di sostegno degli impianti.

Il posizionamento degli impianti è doloroso?

No. È una procedura che nella gran parte dei casi risulta rapida e indolore.

Il posizionamento degli impianti viene eseguito in anestesia locale (la stessa che si esegue quando si fanno le otturazioni). A seconda delle tecniche utilizzate, si esegue una piccola incisione della gengiva, attraverso uno strumento rotante si crea uno spazio nell’osso per posizionare l’impianto e infine vengono dati dei punti di sutura, per consentire alla gengiva di chiudersi più velocemente.

Nelle ore successive si ricorre all’utilizzo di alcuni farmaci per prevenire disturbi e infezioni della ferita.

Quali sono le fasi dell’implantologia?

La fase diagnostica viene fatta attraverso la visita e le radiografie che permettono di pianificare in modo preciso le fasi successive.

La fase chirurgica consiste nel posizionamento dell’impianto, a seconda delle situazioni questa fase può essere suddivisa in due passaggi.

Nel primo caso, una volta inserito l’impianto, si posiziona su di esso un cilindro metallico, ossia la vite di guarigione, che permette alla gengiva di adattarsi attorno all’impianto.

Quando invece la qualità del sito implantare non lo consente (osso di scarsa qualità o scarsa quantità) è preferibile che l’impianto risulti sommerso a fine intervento, protetto così dalla gengiva. Solo quando questo si sarà integrato all’interno dell’osso, verrà posizionata la vite di guarigione attraverso un piccolo taglio della gengiva, così da modellarla e prepararla per la fase successiva.

La fase protesica prevede l’esecuzione delle impronte e la costruzione della protesi che verrà unita all’impianto. In alcuni casi, la costruzione della protesi definitiva viene preceduta da una protesi provvisoria per modellare in modo più preciso i tessuti gengivali attorno all’impianto.

Quali sono i tempi dell’implantologia?

La durata dell’appuntamento per il posizionamento del singolo impianto è piuttosto breve, al pari di un appuntamento per l’esecuzione di un’otturazione.

Una volta portata a termine la fase chirurgica, è necessario lasciar passare del tempo affinché si completi il processo di osteointegrazione e l’osso inglobi l’impianto, creando con questo un intimo contatto. Il periodo necessario mediamente è di circa 90-120 giorni, ma può variare, aumentando o diminuendo a seconda della situazione ossea di partenza.

La presenza di un osso poco compatto e più morbido può richiedere tempi più lunghi, in alcuni casi arrivando anche a 5-6 mesi, mentre in altre situazioni particolarmente favorevoli si può anche arrivare ad anticipare i tempi arrivando a 60 giorni.

Se devo sostituire un dente con un impianto posso farlo subito?

Quando si rende necessaria l’estrazione di un dente, si può ricorrere all’implantologia seguendo diverse strategie terapeutiche, che variano in base alla situazione.

  • Protocollo tradizionale: secondo la tecnica messa a punto negli anni settanta, si estrae il dente, si aspetta la guarigione del sito estrattivo e a distanza di almeno 90 giorni dall’estrazione si procede con l’impianto. In questo modo i tessuti duri e molli (osso e gengive) sono più stabili, ma il periodo che intercorre tra l’estrazione del dente e la consegna della protesi definitiva è piuttosto lungo. Inoltre, se la quantità ossea è limitata, può verificarsi un’ulteriore riduzione del volume osseo gengivale in seguito alla guarigione dei tessuti post estrazione.
  • Protocollo post-estrattivo immediato: si estrae il dente e immediatamente si posiziona l’impianto nel sito estrattivo. Questa tecnica garantisce una riduzione dei tempi di attesa: la guarigione del sito estrattivo e il processo di osteointegrazione dell’impianto vanno avanti simultaneamente e si passa alla fase protesica dopo circa 90 giorni. In questo caso è fondamentale che i volumi ossei e gengivali siano adeguati e privi di infezioni.
  • Protocollo post-estrattivo immediato con protesi immediata: si estrae il dente, immediatamente si posiziona l’impianto e contestualmente si procede al posizionamento di una protesi provvisoria, che a distanza di qualche mese viene sostituita con una protesi definitiva. Questa procedura viene messa in atto in situazioni particolari, che richiedono una gestione estetica immediata (ad es. denti anteriori persi a causa di un trauma). Si garantisce così al paziente massimo confort, sostituendo il dente perduto entro poche ore in modo fisso. Il nuovo dente viene posizionato per un periodo di almeno 60 giorni e ha una valenza solo estetica, non deve essere sollecitato con la masticazione, per evitare di compromettere il processo di integrazione dell’osso attorno all’impianto.

Mucosite, perimplantite e il fallimento implantare

La sostituzione dei denti attraverso gli impianti è una procedura sicura e ampiamente standardizzata. Già negli anni novanta la sopravvivenza dei manufatti protesici a 15 anni era molto alta, intorno al 95% e recenti studi hanno confermato tali esiti. I casi di insuccesso sono molto ridotti, ma in alcune situazioni anche gli impianti possono andare incontro a dei problemi. Talvolta i disturbi possono manifestarsi precocemente, anche dopo poche settimane dalla fase chirurgica. Ci si accorge del problema perché il tessuto attorno all’impianto risulta arrossato e dolente e questo può indicare una sollecitazione del tessuto osseo durante le fasi iniziali di osteointegrazione. In questi casi è consigliato rimuovere l’impianto non integrato, far guarire la zona e riposizionare un nuovo impianto a distanza di almeno 8 settimane.

L’infiammazione potrebbe non comparire nelle fasi iniziali post chirurgiche, bensì in concomitanza della fase protesica. Di solito il problema è legato alla mancata osteointegrazione, cioè attorno all’impianto non si è creato osso, ma tessuto fibroso (fibrointegrazione) che crea fastidi durante la masticazione.

Infine i disturbi potrebbero comparire a distanza di mesi o addirittura anni dal posizionamento in bocca dell’impianto e della sua protesi: questo problema prende il nome di mucosite nelle forme meno gravi e di perimplantite nelle forme più gravi.

Mucosite e perimplantite sono le due forme di malattia che coinvolgono rispettivamente la gengiva e l’osso attorno agli impianti e corrispondono alla gengivite e alla parodontite dei denti naturali.

La mucosite interessa solo la gengiva, si manifesta attraverso i classici segni dell’infiammazione (sanguinamento, gonfiore, arrossamento) ed è una fase reversibile del problema. Di solito i batteri si posizionano nello spazio tra protesi e gengiva, pertanto, una volta eliminata la causa dell’infiammazione, i tessuti tornano sani senza evidenziare danni.

La perimplantite interessa sia la gengiva, sia il tessuto osseo. Quest’ultimo tende ad allontanarsi, per sfuggire all’avanzata dei batteri, con un meccanismo simile a quello della malattia parodontale.  In questi casi la risoluzione dell’infezione determina una perdita di sostegno da parte dell’impianto, con relativa compromissione estetica e funzionale.

Recenti studi hanno appurato che i meccanismi alla base della perimplantite sono legati a meccanismi infiammatori indotti dai batteri, ma anche al coinvolgimento di meccanismi immunitari dell’organismo. In questi meccanismi ha un ruolo chiave la capacità igienica del paziente e il tipo di ancoraggio che unisce la parte protesica a quella implantare.

Implantologia nei pazienti fumatori

Il fumo rappresenta un fattore che influenza negativamente la prognosi per chi si sottopone alla terapia implantare.

Come confermano numerose ricerche, a parità di condizioni igieniche e di batteri presenti nel cavo orale, nei pazienti fumatori l’incidenza dei danni del tessuto gengivale e osseo attorno agli impianti è 4 volte più alta. Le cause sono le stesse che portano alla malattia parodontale: le alte temperature e le sostanze liberate durante la combustione determinano una compromissione dei vasi sanguigni del tessuto gengivale e osseo, rendendo i tessuti meno resistenti all’azione dei batteri e agli stimoli infiammatori generati nel cavo orale.

Alcuni studi hanno cercato di trovare anche un numero massimo di sigarette al di sotto del quale non si corrono rischi, ma ci sono dati contrastanti; alcuni parlano di 5 sigarette al giorno, altri arrivano addirittura a 10.  Dal momento che non ci sono dati concordi, è auspicabile eliminare del tutto questo tipo di dipendenza, così da ridurre in modo significativo i rischi correlati.

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